Venezia. Senza dubbio una delle
città più suggestive al mondo, Venezia incanta sempre, in qualsiasi stagione,
con la nebbia, la pioggia sottile, il cielo grigio o l’azzurro intenso
dell’estate che fa luccicare l’acqua dei canali. Esistono tante Venezia: quella
luminosa e lenticolare di Canaletto, la Venezia notturna e decadente di
Ippolito Caffi, il sogno evanescente dipinto da Turner, una città liquida,
immateriale in cui acqua e cielo si fondono. E naturalmente la Venezia di John
Singer Sargent (Firenze, 1856 – Londra 1925) che vi soggiornò molte volte
tra il 1870 e il 1913 e a Venezia dedicò decine di oli e di acquerelli, scegliendo
spesso inquadrature insolite, visioni ravvicinate delle facciate dei palazzi,
calli e canali secondari lontani dalle immagini tradizionali della città. Due
parole sulla vita di questo artista cosmopolita, nato a Firenze da genitori
americani: venuti in Italia per una sorta di Gran Tour rimasero per sempre in
Europa, spostandosi da un paese all’altro, da una casa all’altra senza mai
possederne una. A 15 anni il giovane Sargent aveva già visto tanta Europa,
parlava correntemente molte lingue e disegnava tutto ciò che attirava la sua
attenzione. Era francese di formazione – allievo a Parigi di Carolus-Duran (Charles
Émile Durand) - fu amico di Manet e di Monet e inglese per cultura; nel 1886 si
stabilì a Londra, ma continuò sempre a viaggiare accompagnato dalla famiglia e
dalla scatola dei colori, inserito fin da giovane in un ambiente internazionale
colto e vitale. Tra i maggiori ritrattisti del suo tempo – chi non conosce il
suo Dottor Pozzi avvolto da una lussuosa veste color rubino, dalla quale
spunta una raffinata pantofola turca che sembra di velluto bianco e seta rossa,
bello come un attore ma forse un po’ privo di anima. Quando non dipingeva su
commissione si dedicava alla pittura en plein air, ai paesaggi nei quali
poteva essere libero di dipingere solo ciò che attirava il suo sguardo, come
quando era ragazzo.
Questo incantevole acquerello è un saggio – a mio parere – del
migliore Sargent. In primo piano si aprono a ventaglio le sagome scure delle
gondole, sugli scafi minuscoli punti privi di colore lasciano intravedere il bianco
della carta, la sensazione del legno che brilla di luce. Alle gondole si
alternano i sottili pali di attracco tracciati con segni di colore liquido. Ne
abbiamo uno proprio davanti agli occhi più spesso e sfumato degli altri che riecheggia
il campanile di San Giorgio Maggiore sullo sfondo, altrettanto verticale,
altrettanto sfuggente. E’ per effetto di questa coppia di ‘tracce verticali’
che ci rendiamo conto dell’ampiezza del Canal Grande, della distanza che ci
separa dalla chiesa, avvolta da una luce rosata, circondata alla base da minuscole
scintille che brillano sull’acqua. Un esile gondoliere sembra volgersi
incantato verso la sagoma luminosa della chiesa, un’altra persona – una ragazza?
un gondoliere a riposo? Oppure è solo un’ombra? – sembra seduta in una delle
gondole in primo piano. Non c’è una storia, non c’è niente da raccontare. Solo
un attimo di un pomeriggio veneziano colto in tutta la sua bellezza, reso
magico dalla luce e dai riflessi sull’acqua, dipinta con rapidi tocchi di
colore grigio, petrolio, malva, accenni di rosa che riproducono in modo
magistrale la mobilità liquida della laguna. Di certo l’acquerello è la tecnica
più adatta per dare l’illusione dell’istante, per rappresentare le condizioni
mutevoli della luce, l’aspetto effimero dei riflessi sull’acqua. Di certo
Sargent è tra i più sapienti nell’uso dell’acquerello e queste ‘istantanee
veneziane’ sono spesso piccoli gioielli da ammirare, scoprendo un lampo di luce
che non si era visto prima, apprezzando l’inquadratura inedita, quel guizzo di
colore che sembra far muovere l’acqua.