Amo profondamente la pittura ed ogni forma di arte.

Il mio blog è per coloro che sanno scoprire cose nuove anche a pochi km di casa, sono curiosi della vita e credono che la felicità si possa conquistare amando le piccole cose.

giovedì 28 maggio 2020

Jean Siméon Chardin - Il barattolo di albicocche - Art Gallery of Ontario Toronto


Un barattolo di albicocche sciroppate pieno solo per metà, con il tappo avvolto da un foglio di carta tenuto stretto da un filo di spago, tre calici di vetro, due focacce croccanti e un frutto. E poi ancora due tazze che si immaginano di fine porcellana con un decoro floreale, simbolo di un certo benessere perché all’epoca tè, caffè e cioccolato non erano bevande per tutti, ma solo per chi poteva permetterselo.
Jean Siméon Chardin, Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario

Ma quale epoca? Sebbene questo dipinto sembri modernissimo – diciamo che dimostra almeno 100 anni di meno – siamo alla metà del 1700, nel 1758 per l’esattezza e l’autore è Jean Siméon Chardin (Parigi 1699, 1779). Un pittore al quale ho pensato moltissimo in queste settimane di silenzio e di vita forzatamente casalinga. Chi ha avuto la fortuna di poter stare chiuso in casa (grazie ai molti che hanno lavorato, comunque, per noi) ha riscoperto in queste settimane il silenzio e il piacere di dedicarsi a piccole cose, ma anche l’importanza di cose che avevamo dato molto per scontate. Questo fa Chardin. In un’epoca in cui chi voleva emergere dipingeva ‘la storia’ – che fosse reale o mitologica ma una narrazione doveva esserci – lui sceglie il silenzio, la poesia di piccole cose quotidiane; questo non gli impedisce di raggiungere un buon successo e nel 1728 è ammesso all’Accademia Reale di Pittura e Scultura, in seguito espone con regolarità al Salon del Louvre dove ottiene l’apprezzamento del pubblico e la ammirazione sconfinata di Denis Diderot.
Chardin mette al centro dei suoi dipinti oggetti qualunque: terrecotte, frutta, barattoli e piccole tazze, brioches e qualche fiore, ninnoli di porcellana decorata. E quando sceglie di dedicarsi alla figura umana (negli anni ’30 e ‘40), nei dipinti troviamo una, due persone, mai di più. Ragazzi che giocano con il volano o le bolle di sapone, garzoni e cameriere persi nelle occupazioni di ogni giorno. Gente qualsiasi, così come gli oggetti sono quelli di ogni giorno. Non ci sono storie da raccontare, ma attimi da conservare.
Jean Siméon Chardin, particolare da
Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario

E se, quando guardiamo una storia, possiamo immaginare poco perché molto è già detto, dipinti come questo aprono un mondo: sono gli avanzi di una colazione appena fatta, o invece qualcuno sta preparando uno spuntino pomeridiano, cosa nascondono quei pacchi alla destra del dipinto, zucchero forse? Oppure cosa? Immaginiamo un’ampia cucina esattamente qui dove siamo noi oppure, forse, questi oggetti sono appoggiati alla madia di una sala, semplice certo, con le pareti dipinte di ocra; e quel manico del coltello che sporge verso di noi, oltre a dare il senso di profondità dell’immagine sembra invitarci ad entrare. Ci affascina il gioco dei riflessi, sul barattolo di vetro - di un verde intenso come quelli delle dispense delle nostre nonne – e sui calici trasparenti, illuminati da bagliori appena colorati che li legano in una poetica armonia cromatica agli altri oggetti sulla tavola.
Un pittore straordinario Chardin, forse oggi meno conosciuto di quanto dovrebbe. Il disegno è quasi del tutto assente, sono i colori che fanno l’immagine e l’atmosfera silenziosa e atemporale di questa composizione: beige marrone crema ocra con qualche tocco di azzurro e la piccola nota rossa del decoro delle tazze. Indispensabile soffermarsi a guardare, i colori ci appaiono quasi vellutati, i riflessi e gli effetti di luce incantevoli. Una tecnica eccezionale ci fa percepire la diversità dei materiali: lo sciroppo denso che avvolge le albicocche, il vetro dei bicchieri, la sottile porcellana delle tazzine e perfino la crosta croccante delle focacce che hanno lasciato qualche briciola vicino al coltello. E poi la carta che avvolge i pacchi, ruvida e una nuvola di vapore appena percepibile che sale dalla tazza in primo piano. Chardin fa tutto questo con il colore steso in pennellate che si sovrappongono, che sfumano definendo le ombre e la sostanza di questi oggetti che all’improvviso ci sembrano bellissimi e importanti, tutt’altro che semplici e banali, sottratti all’anonimato della quotidianità.
Jean Siméon Chardin, particolare da Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario

A dispetto dell’apparente facilità di questa immagine Chardin resta un pittore inafferrabile: questo barattolo di albicocche riesce a fermare per sempre un attimo di vita e al tempo stesso sembra un’apparizione fugace, i contorni poco definiti, i colori sfumati lasciano la sensazione dell’impermanenza. Un messaggio - a mio parere - resta per sempre, imparare a guardare le cose anche le più semplici, perché hanno una magia che non ti aspetti.
Charles-Nicolas Cochin amico e primo biografo di Chardin racconta che il pittore dicesse: “.. ma chi vi ha detto che si dipinge con i colori! … ci si serve dei colori, ma si dipinge con il sentimento.”. Non è necessario aggiungere altro.



mercoledì 13 maggio 2020

Il 2020? E' anche l'anno di Modigliani - Ritratto di Lunia Czechowska

Nel giugno del 1916 Zbo mi aveva portato ad un’esposizione di Modigliani .. uscendo eravamo andati alla terrazza della Rotonde con degli amici pittori. Rivedo ancora un ragazzo bellissimo che attraversava il boulevard Montparnasse. Portava un cappello di feltro nero, un abito di velluto, una sciarpa rossa. Dalle sue tasche spuntavano delle matite e teneva sottobraccio un’enorme cartella di disegni; era Modigliani. Venne a sedersi accanto a me. Fui colpita dalla sua eleganza, dal fascino e dalla bellezza dei suoi occhi. Era al tempo stesso semplice e nobile…”. Così Lunia Czechowska qui ritratta da Amedeo Modigliani (Livorno 1884 - Parigi 1920) nel 1919 descrive il suo primo incontro con il pittore. Era la moglie di uno degli amici di Zborowski (lo Zbo della citazione) poeta polacco che fu uno dei mercanti di Modigliani.
Il 2020 non è solo l’anno di Raffaello ma anche l’anno di Modigliani, scomparso a Parigi nel gennaio del 1920 a soli 36 anni, ucciso da una salute cagionevole che lo tormentava fin da ragazzo e da una vita sregolata – anche se non così estrema come è stata poi descritta da un’inutile mitografia fiorita intorno a questo artista.
Si può amare leggere e rileggere un libro perchè ha una trama avvincente, dei personaggi indimenticabili oppure perché, anche se la narrazione è semplice, è capace di creare un’atmosfera che ci affascina e quello che ci interessa non è il racconto in sé ma il sogno che lo scrittore sa creare in noi. Bene, sono convinta che se i dipinti di Modigliani fossero un libro apparterrebbero a questa seconda categoria. Le opere di Modigliani non hanno la complessa e suggestiva tessitura cromatica dei Monet di quegli anni (Claude Monet muore 6 anni dopo, nel 1926 e in quegli anni stava realizzando le straordinarie ninfee de L’orangerie), né la potente carica creativa di Picasso o la forza espressionistica di Van Gogh ma con una tavolozza limitata a pochi colori e una linea elegante e sinuosa i ritratti di Modigliani - solo apparentemente facili - hanno un fascino senza tempo e ci restituiscono l’immagine di un’epoca. Sono ritratti di musicisti, pittori, mercanti d’arte, poeti e poetesse, amici e conoscenti che animavano Montparnasse, il nuovo centro della bohème parigina che all’inizio del ‘900 aveva sostituito Montmartre. I ritratti di Modigliani sono accomunati dal suo stile essenziale e da un velo sottile di malinconia ma tutti percettibilmente diversi uno dall’altro, ne avvertiamo le diverse personalità, li guardiamo e sembra di sentire l’eco di animate discussioni sul futuro dell’arte e il destino della pittura. E sono allo stesso tempo attualissimi.
Amedeo Modigliani, Ritratto di Lunia Czechowska di profilo - 1919. Collezione privata (olio su tela)


Il profilo di Lunia è definito da una linea sottile e morbida, emerge sullo sfondo fatto di rapide pennellate grige e verde chiarissimo. Pochi tratti e una zona piatta di colore bruno bastano a suggerire i capelli raccolti in uno chignon semplice ma curato che lascia scoperto il collo lungo e flessuoso. La bocca è sottile e gli occhi sono identificati da chiazze di colore azzurro pallido dalle quali sembra provenire una tenue luce che le illumina il viso. Le palpebre sembrano vagamente colorate da un trucco discreto e la camicia bianca scivola sulle strette spalle della donna e termina in una profonda scollatura. Chi direbbe che è il ritratto di una donna di cento anni fa? Lunia in una parola sola è moderna. Non sono d’accordo con chi sostiene che i ritratti di Modigliani siano solo ‘superficie’, che non ci sia alcuna profondità psicologica e che a lui interessasse solo il tratto grafico in sé e per sé: Lunia ha un viso straordinariamente elegante, un’espressione silenziosa ma decisa, una presenza impossibile da ignorare.
Modigliani, dopo un decennio di ricerche, segue senza più incertezze un percorso artistico del tutto personale che non consente di inquadrarlo in nessuna delle avanguardie artistiche del suo tempo. Era un uomo colto, appassionato di filosofia, musica e poesia, dipinse quasi esclusivamente ritratti, forme essenziali caratterizzate da linee morbide e allungate, un amalgama complesso di suggestioni tanto diverse: l’eleganza lineare della pittura senese del Trecento, la pura essenzialità dell’arte primitiva – egizia in particolare, in questa Lunia sembra di rivedere una moderna NefertitiE, ancora, si percepisce la sintesi operata da Cezanne, l’influenza della sua infaticabile ricerca dell’essenza delle cose. La pittura di Modigliani però è meno concentrata sul volume e più sull’armonia, sulla bellezza e sull’equilibrio. E’ un ritmo sottile che alterna linee ondulate e linee allungate, lo spazio occupato dalla figura e quello dello sfondo, colori chiari e tinte meno luminose. L’effetto è quello di una bellezza senza tempo.