Un barattolo di albicocche
sciroppate pieno solo per metà, con il tappo avvolto da un foglio di carta
tenuto stretto da un filo di spago, tre calici di vetro, due focacce croccanti
e un frutto. E poi ancora due tazze che si immaginano di fine porcellana con un
decoro floreale, simbolo di un certo benessere perché all’epoca tè, caffè e
cioccolato non erano bevande per tutti, ma solo per chi poteva permetterselo.
Jean Siméon Chardin, Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario |
Ma quale epoca? Sebbene questo
dipinto sembri modernissimo – diciamo che dimostra almeno 100 anni di meno –
siamo alla metà del 1700, nel 1758 per l’esattezza e l’autore è Jean Siméon
Chardin (Parigi 1699, 1779). Un pittore al quale ho pensato moltissimo in
queste settimane di silenzio e di vita forzatamente casalinga. Chi ha avuto la
fortuna di poter stare chiuso in casa (grazie ai molti che hanno lavorato,
comunque, per noi) ha riscoperto in queste settimane il silenzio e il piacere
di dedicarsi a piccole cose, ma anche l’importanza di cose che avevamo dato
molto per scontate. Questo fa Chardin. In un’epoca in cui chi voleva emergere
dipingeva ‘la storia’ – che fosse reale o mitologica ma una narrazione doveva
esserci – lui sceglie il silenzio, la poesia di piccole cose quotidiane; questo
non gli impedisce di raggiungere un buon successo e nel 1728 è ammesso all’Accademia
Reale di Pittura e Scultura, in seguito espone con regolarità al Salon del
Louvre dove ottiene l’apprezzamento del pubblico e la ammirazione sconfinata di
Denis Diderot.
Chardin mette al centro dei suoi
dipinti oggetti qualunque: terrecotte, frutta, barattoli e piccole tazze,
brioches e qualche fiore, ninnoli di porcellana decorata. E quando
sceglie di dedicarsi alla figura umana (negli anni ’30 e ‘40), nei dipinti
troviamo una, due persone, mai di più. Ragazzi che giocano con il volano o le
bolle di sapone, garzoni e cameriere persi nelle occupazioni di ogni giorno.
Gente qualsiasi, così come gli oggetti sono quelli di ogni giorno. Non ci sono
storie da raccontare, ma attimi da conservare.
Jean Siméon Chardin, particolare da Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario |
E se, quando guardiamo una storia,
possiamo immaginare poco perché molto è già detto, dipinti come questo aprono
un mondo: sono gli avanzi di una colazione appena fatta, o invece qualcuno sta
preparando uno spuntino pomeridiano, cosa nascondono quei pacchi alla destra
del dipinto, zucchero forse? Oppure cosa? Immaginiamo un’ampia cucina
esattamente qui dove siamo noi oppure, forse, questi oggetti sono appoggiati
alla madia di una sala, semplice certo, con le pareti dipinte di ocra; e quel
manico del coltello che sporge verso di noi, oltre a dare il senso di
profondità dell’immagine sembra invitarci ad entrare. Ci affascina il gioco dei
riflessi, sul barattolo di vetro - di un verde intenso come quelli delle
dispense delle nostre nonne – e sui calici trasparenti, illuminati da bagliori appena
colorati che li legano in una poetica armonia cromatica agli altri oggetti sulla
tavola.
Un pittore straordinario Chardin,
forse oggi meno conosciuto di quanto dovrebbe. Il disegno è quasi del tutto
assente, sono i colori che fanno l’immagine e l’atmosfera silenziosa e
atemporale di questa composizione: beige marrone crema ocra con qualche tocco
di azzurro e la piccola nota rossa del decoro delle tazze. Indispensabile
soffermarsi a guardare, i colori ci appaiono quasi vellutati, i riflessi e gli
effetti di luce incantevoli. Una tecnica eccezionale ci fa percepire la
diversità dei materiali: lo sciroppo denso che avvolge le albicocche, il vetro
dei bicchieri, la sottile porcellana delle tazzine e perfino la crosta
croccante delle focacce che hanno lasciato qualche briciola vicino al coltello.
E poi la carta che avvolge i pacchi, ruvida e una nuvola di vapore appena
percepibile che sale dalla tazza in primo piano. Chardin fa tutto questo con il
colore steso in pennellate che si sovrappongono, che sfumano definendo le ombre
e la sostanza di questi oggetti che all’improvviso ci sembrano bellissimi e
importanti, tutt’altro che semplici e banali, sottratti all’anonimato della
quotidianità.
Jean Siméon Chardin, particolare da Il barattolo di albicocche - 1758. Art Gallery of Ontario, Toronto (olio su tela ovale) © Art Gallery of Ontario |
A dispetto dell’apparente
facilità di questa immagine Chardin resta un pittore inafferrabile: questo
barattolo di albicocche riesce a fermare per sempre un attimo di vita e al
tempo stesso sembra un’apparizione fugace, i contorni poco definiti, i colori
sfumati lasciano la sensazione dell’impermanenza. Un messaggio - a mio parere -
resta per sempre, imparare a guardare le cose anche le più semplici, perché
hanno una magia che non ti aspetti.
Charles-Nicolas Cochin amico e
primo biografo di Chardin racconta che il pittore dicesse: “.. ma chi vi ha
detto che si dipinge con i colori! … ci si serve dei colori, ma si dipinge con il
sentimento.”. Non è necessario aggiungere altro.
profonda visione racchiusa entro piccoli spazi, alla riscoperta di un'artista "intenso"; ottima recensione
RispondiElimina