Ci sono due elementi spiazzanti
in questo ritratto così intensamente blu. Uno: è il ritratto di un ecclesiastico
- Camillo Massimo - ed è assai inconsueto vedere un uomo di chiesa abbigliato
con un blu così profondo. Sembra che Camillo Massimo potesse sfoggiare questo
sontuoso blu in quanto cameriere segreto del papa. Due: l’autore di questo
straordinario ritratto è Diego de Silva Velazquez (Siviglia 1599 – Madrid 1660) che, nelle parole di Van Gogh, è il pittore
del nero, del bianco, del grigio e del rosa – così lo descrive in una lettera
al fratello. Non rammento un’altra opera di Velazquez con un blu così vellutato
e diffuso, così ricco, le cui sfumature ci fanno percepire la preziosità della
stoffa, la presenza di un minuscolo bottoncino che si intravede tra le pieghe,
il taglio delle maniche.
Diego de Silva Velazquez , Ritratto di Camillo Massimo - 1650 Kingston Lacy, The Bankes Collection, National Trust © National Trust Images |
Il viso di Camillo si stacca
sopra un collettone bianco e si rivolge a noi. Con uno sguardo in cui leggiamo
una sorta di bonaria condiscendenza. Un viso grassoccio, baffi e pizzetto
perfettamente in ordine, si avvertono sotto la berretta i riccioli curati di
questo aristocratico. Che era uomo profondamente colto, amico di artisti, uno
degli intellettuali più in vista della Roma del suo tempo. La pittura è
sfumata, quasi vaga, Camillo Massimo è una presenza viva costruita di solo
colore, la materia pittorica è totalmente disfatta, con un termine anacronistico la si potrebbe definire quasi impressionistica.
Ombreggiature marroni definiscono lo sfondo, intuiamo la spalliera di velluto
color mattone della sedia e le lumeggiature dorate delle piccole frange che la
ornano. La luce gioca sulla stoffa della mozzetta che scala dal blu profondo a sprazzi
di azzurro, il colore è fluido e incantevole. Del viso dell’uomo vediamo tutto:
le guance rosate, il volto pingue, il naso pronunciato e le labbra carnose.
Senza una traccia di disegno, solo con l’uso magistrale del colore, quel modo
di utilizzare tavolozza e pennelli che incanterà Manet. Velazquez è uno dei più
grandi ritrattisti di tutti i tempi.
Mi ha colpito molto l’idea di Tomaso Montanari – nel libro Velazquez e il ritratto barocco - di affiancare questo ritratto di Velazquez al busto di Scipione Borghese scolpito da Gian Lorenzo Bernini – Bernini e Velazquez sono contemporanei, coetanei direi, nati a sei mesi di distanza l’uno dall’altro anche se non abbiamo notizia se si siano mai incontrati / conosciuti.
Gian Lorenzo Bernini , Busto di Scipione Borghese - 1632 Galleria Borghese Roma (marmo) |
A parte una vaga somiglianza
fisica (almeno ai miei occhi) tra i due protagonisti, nei due ritratti si
percepisce lo stesso ‘mood’: la simpatia dell’artista nei confronti del suo
‘soggetto’, due uomini di chiesa rappresentati in un modo che non intende certo
evidenziare la loro spiritualità, ma la loro umanità.
Nel senso di essere uomini del loro tempo, sicuramente più vivace e brillante
Borghese, vorrei dire più sanguigno, più sottilmente intellettuale ma non meno
laico Camillo Massimo. In entrambi i casi quello che sorprende è la capacità di
Velazquez e di Bernini di farci sentire il carattere, l’intelligenza e la
personalità di questi due uomini. Di Scipione ci sembra di sentire la voce
profonda rispondere con arguzia a qualche sollecitazione, di Camillo avvertiamo
il silenzio pensoso e un poco condiscendente con cui sembra ascoltarci. Il
colore di Velazquez, steso con incredibile maestria esprime la presenza nello
spazio di Camillo Massimo; la sostanza è tutta nel colore, Velazquez non ha
bisogno di sottili giochi prospettici per farci sentire la tangibilità di
questa figura. Nel campo opposto, il busto di marmo così solido e perfettamente
bianco di Bernini ha la mobilità e la fuggevole impressione del colore, nelle
parole di Montanari sembra ‘restituire proprio il colore e la luce della
carne e della stoffa’.
Il libro di Tomaso Montanari ‘Velazquez
e il ritratto barocco’ è edito da Einaudi.
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