Inauguro oggi una nuova rubrica, ATTIMI. Fino all’ultimo sono stata in dubbio sul nome, ATTIMI oppure FLASH. Entrambi evocano immediatezza, brevità: ho scelto ATTIMI. FLASH è effimero, immediato ma evanescente, mentre ATTIMI mi sembra conservi un che di duraturo nel ricordo. Non scompare, è breve nella durata, ma non sparisce mai del tutto. Un attimo può restare per sempre e lascia qualcosa sulla quale si può continuare a pensare a lungo. Dunque, ATTIMI. Parlerò di opere meno note di artisti celeberrimi (ed inizio proprio così oggi, con gli acquerelli con i quali Manet ha decorato alcune delle sue lettere nel 1880), di dettagli che possono sfuggire quando si visita una collezione d’arte, un grande museo, un palazzo affrescato dove gli oggetti che chiedono la nostra attenzione sono così tanti che qualcosa necessariamente si trascura. Di particolari che a mio parere sono imperdibili e che meritano di essere sottolineati. Brevemente, come ATTIMI richiede.
Tra l’estate e l’autunno del 1880 Eduard Manet (Parigi, 1832 – 1883) era a Bellevue, piccola cittadina termale dove tentava di curare una salute ormai molto minata dalla malattia. Si annoiava, terribilmente, senza il movimento e la compagnia della grande città, senza le attrazioni dei caffè, delle amicizie e della mondanità di Parigi e dei luoghi di villeggiatura più stimolanti – come le località balneari della costa normanna. Trascorreva i suoi pomeriggi in giardino e scriveva lettere, una dopo l’altra, alle amicizie lontane, raccontando piccole cose e chiedendo novità, domande curiose e richieste di compagnia a distanza. Il testo delle lettere si dispone attorno a piccoli disegni ad acquerello, deliziosi, freschissimi e colorati: profili di eleganti parigine, tralci di fiori, minuscoli paesaggi, immagini di pesche, susine mature, il gatto Zizi e queste incantevoli lanterne di carta, dai colori delicatissimi.
Gli acquerelli che punteggiano le lettere sono privi di disegno, tutti, dalle immagini più semplici alle più articolate e complesse. Tutti tracciati con pennellate di colore liquido, come queste reficolone, lanterne di carta crespa definite da tratti di lilla, indaco, azzurro e tocchi di beige e luminoso giallo. E’ impossibile non trovarle bellissime. Parlano di una serata estiva in uno dei giardini di Parigi, dove le immagino intrecciate tra gli alberi ad illuminare i tavolini di un caffè all’aperto. E accompagnano deliziosamente il testo della lettera – che riporto sotto – che accenna ad un’occasione di festa.Gli acquerelli sono una dimostrazione di abilità, di capacità di improvvisazione con i quali Manet omaggia i suoi corrispondenti (soprattutto donne); schizzi e scarabocchi giocosi che cercano di catturare l’attenzione di chi legge, più e oltre le poche parole che li accompagnano. Sembrano inframezzati al testo quasi per caso, un piccolo vezzo, un omaggio divertito e improvvisato a chi legge.
Eduard Manet, Bellevue, à Isabelle Lemonnier, 1880, Parigi - Fonds des dessins et miniatures, collection du musée d'Orsay
Ma non è tutto come sembra. Uno studio molto interessante di Emily A. Beeny pubblicato sul Burlington Magazine nel 2019 (NOTA1), ci dice qualcosa di diverso: che questi acquerelli sono frutto di una straordinaria abilità disegnativa, certo, ma forse l’improvvisazione spesso non c’è. La freschezza e l’immediatezza di questi disegni è il risultato di un piccolo trucco ben studiato: la carta molto sottile e trasparente che Manet usava per la sua corrispondenza si prestava molto bene ad operazioni di ricalco. Dal confronto tra gli album di disegni e di schizzi con alcuni dei soggetti degli acquerelli si nota che in alcuni casi disegno ed acquerello sono perfettamente sovrapponibili. Manet traccia sulla carta ricalcandolo il profilo del disegno e lo riempie di colore steso con rapide pennellate, così da lasciare in chi guarda l’impressione di un pensiero fissato velocemente con tocchi di colore improvvisati e disinvolti.
“Capire il ruolo del ‘ricalco’ nelle lettere illustrate ci permette di raccontare una storia più umana su questo periodo della vita del pittore e di apprezzare ancora di più la commovente eleganza dei suoi ultimi disegni. I suoi contemporanei confermano che Manet considerava l’esecuzione agile e spontanea come una componente fondamentale della sua identità di artista e così, anche se la sua salute malferma […] rendeva per lui sempre più difficile essere pittore, spargere qua e là nelle sue lettere agli amici disegni ad acquerello gli consentiva di mantenere viva l’immagine di un artista con una straordinaria capacità di improvvisazione [..]” (Nota1).
Tra le lettere illustrate da Manet, oggi in gran parte in deposito presso il Museo del Louvre (si possono consultare qui) ho scelto questa con il disegno delle lanterne di carta, indirizzata a Isabelle Lemonnier.
Il testo che accompagna questo piccolo capolavoro è questo (la traduzione è mia):
“Bellevue.
Aspetto, cara Signorina, un vostro racconto della festa. Vi hanno vista a passeggio la sera, con chi? Nei giornali si è detto dei vostri fuochi d’artificio e dell’illuminazione del vostro giardino. Aggiornatemi un po’ su questo segreto e su cosa avete fatto. Non capisco affatto il vostro silenzio. Cordialità EM”.
NOTA1. La citazione è tratta da Emily A. Beeny: ‘Evidence of tracing in Manet’s
late watercolours’, THE BURLINGTON MAGAZINE 161 (December 2019). La traduzione è mia.
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