Ho deciso di inaugurare il mio blog parlando della mostra di
Monet alla GAM di Torino.
Monet (1840 – 1926) è stato un artista molto complicato.
Contrariamente a quanto si possa pensare la pittura di Monet non è semplice,
immediata e ‘facile’. Di grande fascino sicuramente, spesso incantevole
(soprattutto nell’ultima fase, a mio parere, quella che ha per protagonisti le
ninfee e il suo giardino di Giverny, che purtroppo non è documentata in mostra)
ma certo non facile.
E se ha un merito la mostra della GAM di Torino è quello di
lasciar intravedere quanto difficile sia stato il percorso di questo artista e
quanto poco immediato sia il concetto che è alla base della sua pittura. Anche
se Monet stesso rifiutava ogni teoria, dipingeva e basta. Inseguendo l’attimo,
la luce, i riflessi sulla neve e sull’acqua. Sforzandosi di fermare sulla tela
le ‘impressioni’ di luce. Ed è qui la impossibilità della sua pittura, la sua
continua lotta, perché fissare l’attimo di vita è una contraddizione
irrisolvibile, nel momento in cui lo pensi non è già più.
E’ in questo percorso alla ricerca dell’impressione che
Monet ha dato vita ad un nuovo concetto di pittura di paesaggio ed è arrivato
nella fase finale ad una pittura emozionante e suggestiva che apre la via
all’astrattismo, anzi è già astrattismo.
Il ‘paesaggio’ di Monet e degli impressionisti non è più un
fondale statico che ospita la figura umana, è la rappresentazione della
mutevolezza dell’aria, del fluire dell’acqua e della continua evoluzione di
luce e colori. Il paesaggio perde definizione, si frantuma nei riflessi
restituiti dall’acqua, si dissolve nella nebbia e nel colore dell’aria, nella
trasparenza di una giornata luminosa. Eppure il paesaggio non è mai stato così
vero.
Era una pittura rivoluzionaria, che abbandonava il disegno, la
definizione dei contorni e adottava una pennellata frazionata, svirgolata e
rapida. L’immagine si compone sulla tela grazie a piccoli tocchi irregolari di
colori giustapposti, avvicinatevi alle tele il più possibile e vedrete
scomparire tutto, resta solo un groviglio affascinante di trattini colorati.
Qualche passo indietro e l’immagine si materializza gradualmente ai nostri
occhi: è qui la magia irripetibile di Monet.
Régates à Argenteuil 1872 |
Il pittore arriva per gradi a questi risultati.
L’esposizione si apre con una tela ancora di ‘ispirazione Barbizon’ con colori
scuri, verdi potenti e marroni e si chiude con l’immagine del parlamento di
Londra disfatto nella luce rossastra del tramonto. In mezzo c’è una metà del
suo percorso artistico, la restante, quelle delle ninfee che si sfaldano
progressivamente nell’acqua e nei giochi di luce e di colore non è in mostra. I
quadri esposti sono tutti o quasi degni di essere osservati con attenzione. Ci
sono le barche di Argenteuil che si riflettono nel fiume e l’acqua sembra
davvero tremolare sotto i nostri occhi, ci sono le bandiere della Francia che
sventolano nell’aria e riempiono la sala di colori.
La folla anima le vie di
Parigi, piccole figure si muovono sulle barche e lungo le rive del fiume. Sono
solo stenografate, appena appena stilizzate eppure – potete fare l’esperimento
con tutti i quadri di Monet in mostra- la maestria del suo pennello fa si che
sia possibile percepire che gli uomini hanno un cappello in testa, le donne
portano graziosi abiti e ombrellini. C’è l’esperimento della gigantesca Dejeuner
sur l’herbe
in cui Monet ancora si cimenta con una pittura che possa essere
accettata al Salon (anche se non lo presenterà mai). Vale la pena in questo
quadro ammirare la stoffa sottile e trasparente delle maniche dell’abito a pois
di Camille, la luce che filtra attraverso le foglie e le vivande ritratte sul
bianco della tovaglia, una torta, della frutta e pollo arrosto. E gustare
l’atmosfera très chic di questo pic nic borghese illuminato dal sole. Perché
anche questo sono stati gli impressionisti i pittori della vita moderna, dei
divertimenti borghesi e della domenica sulle spiagge. Un’altra rivoluzione
rispetto alla pittura dell’epoca che si dedicava quasi esclusivamente a temi
storici e mitologici. Un’ultima annotazione: osservate la cattedrale di Rouen nella
versione che brilla alla luce del sole (ce ne sono due in mostra).
Avvicinatevi
al quadro e vedrete solo macchie di colore, ma da lontano le macchie di Monet danno
al portale della Cattedrale una solidità, una tridimensionalità e una sostanza
di reale che nessun disegno in perfetta prospettiva ha mai raggiunto. Monet è
ormai lontano dalla rappresentazione oggettiva dell’impressione fugace, la
Cattedrale di Rouen e il parlamento di Londra aprono la strada all’ultima fase
della sua pittura, quella in cui il suo affascinante tappeto di colori riflette
non un attimo di luce ma la ‘sua’
visione dell’attimo. Perché Monet contrariamente a quello che di lui ha detto
Cezanne non era solo un occhio.
La rue Montorgeuil à Paris. Fete du 30 juin 1878, 1878
Le déjeuner sur l'herbe, 1865-1866 |
La Cathédral de Rouen, plein soleil, 1893 |
P.S. In mostra c’è anche un delizioso Pissarro, qualsiasi
galleria di pioppi vedrete percorrendo le strade della Francia vi richiamerà
alla mente questo quadretto di Pissarro e le sue ombre tremolanti sotto il
sole.
Torino, GAM. Mostra prorogata fino al 14 febbraio 2016.
Meravigliosa questa descrizione dell'opera di Monet...meravigliosa perche' accessibile anche a chi come me non e' una conoscitrice di arte , ma solo un'appassionata,ma nello stesso tempo ricca di particolari tecnici che fanno apprezzare la magia di queste tele fino in fondo,cogliendo sfumature che un occhio non esperto non vede a prima vista. Complimenti per questo blog.....
RispondiEliminaCiao Tiffany, grazie sei gentilissima. A presto allora!
EliminaNon sono un intenditore ne' un iniziato: osservo un dipinto solo se mi trasmette un'emozione senza passare dalla testa ma andando direttamente al cuore.
RispondiEliminaAmmiro quindi, chi come te riesce a raccontare così bene anche il lato "tecnico,storico e sociale di un'opera.
Continuerò a seguirti.
PS: ma come facevano gli impressionisti a "fissare" le ombre sulla tela? Intendo dire: mentre loro progredivano nel lavoro (e questo necessitava del tempo), il sole si spostava e con esso il gioco di ombre sul terreno...questa cosa mi ha sempre affascinato.
Ciao Raùl, grazie del tuo commento. Hai ragione, è la lotta continua di Monet cogliere un attimo di luce che quando provi a fissarlo sulla tua tela è già sparito. Ma l'arte è anche un po' magica, no? Ciao!
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