Amo profondamente la pittura ed ogni forma di arte.

Il mio blog è per coloro che sanno scoprire cose nuove anche a pochi km di casa, sono curiosi della vita e credono che la felicità si possa conquistare amando le piccole cose.

sabato 21 giugno 2025

La seduzione del colore. Andrea Solario e il Rinascimento tra Italia e Francia. Milano - Museo Poldi Pezzoli

Una delle virtù del Museo Poldi Pezzoli di Milano è la capacità di organizzare piccole mostre ricche di contenuti intorno a opere della propria collezione. La scelta è quella di privilegiare la qualità e non la quantità e una ‘trama’ ben definita: mostre che restano impresse nella memoria perché a chi guarda si offre un filo logico da seguire e la possibilità di concentrarsi su ogni singola opera.

Protagonista della attuale esposizione è Andrea Solario (Milano, 1470 ca.–1524), oggi meno noto di quanto dovrebbe o comunque relegato nella memoria con la generica – e ingenerosa – etichetta di “leonardesco”, pur essendo stato oggetto di grande fama presso i collezionisti dell’Ottocento. Un destino complicato quello di Solario, del quale ci restano soprattutto opere di destinazione privata, ritratti e quadri a tema sacro sparpagliati in musei diversi e la cui unica importante commissione pubblica – escludendo la pala della Certosa di Pavia rimasta incompiuta - gli affreschi del castello di Gaillon, sono stati distrutti durante la Rivoluzione francese.

Il percorso espositivo è suddiviso in tre sezioni: Venezia (gli esordi), Normandia (la maturità), Milano: tre punti di riferimento per ricostruire la storia artistica e biografica di Solario. Non un ordine strettamente cronologico: Milano alla quale è dedicata l’ultima parte della mostra è una presenza costante nella vita del pittore che qui nacque intorno al 1470, all’interno di una famiglia di artisti. Non si sa molto sulla sua formazione in ambito milanese, le prime notizie arrivano da Venezia, prima ‘tappa’ della mostra. Solario ci appare subito un artista ricettivo, aperto al dialogo con l’arte dei grandi del suo tempo: Leonardo naturalmente, ma anche Giovanni Bellini, Antonello da Messina che aveva lasciato a Venezia un’importante eredità e la pittura fiamminga – nota a Solario per il tramite di Antonello e studiata poi approfonditamente nel corso del soggiorno in Francia. Emblematico della capacità di muoversi tra culture diverse il confronto tra due ritratti esposti nella sezione ‘Venezia’: il Ritratto di giovane della Pinacoteca di Brera, fondo nero, posa di tre quarti, lineamenti definiti da ombre brune, contorni sfumati. Antonello sicuramente, ma anche il ricordo del Ritratto di Musico (ora all’Ambrosiana) che Leonardo qualche anno prima aveva lasciato a Milano. 

Andrea Solario - Ritratto di Giovane (1494 ca, Milano Pinacoteca di Brera)     


Completamente diverso il Ritratto di uomo della National Gallery, basta osservare le mani, così precisamente definite per apprezzare la differenza tra le due opere. E poi ci sono i colori, segno evidente del soggiorno a Venezia: il rosso acceso dell’abito, il tocco azzurro del polsino, replicati nei toni più tenui del rosa del garofano e nel celeste lieve della pietra dell’anello che l’uomo porta al pollice. Precisa definizione dei particolari, perfino del ciuffo imbiancato di capelli. Occhi di ghiaccio, un’aria scostante, meno espressiva del giovane di Brera il cui sguardo ha una mobilità sconosciuta a quest’altro personaggio. E quel paesaggio sullo sfondo velato di luce azzurra, lontananze che si perdono verso le montagne, che in mostra i curatori mettono a confronto con quello di un ritratto coevo del Perugino (Ritratto di Francesco delle Opere) dipinto con grande probabilità a Venezia.

Andrea Solario - Ritratto di Uomo (1495 ca, Londra The National Gallery)     



L’opera più rilevante che Solario lascia a Venezia (ora a Brera) è la Madonna tra San Giuseppe e San Simeone: i profili dei Santi hanno una legnosità un po’ nordica, i colori sono luminosi e bagnati di luce nello stile di Bellini, il gesto affettuoso di Maria ci riporta in terra lombarda. Da notare la firma in lettere capitali perfettamente scandite, negli stessi anni in cui Aldo Manuzio dava vita alla sua tipografia in Venezia.

In Normandia Solario giunge nel 1507, chiamato da Georges d’Amboise, zio di Charles, nuovo governatore di Milano dopo la cacciata degli Sforza. Apre la sezione ‘normanna’ un ritratto di Charles d’Amboise, sulla cui autografia i curatori avanzano qualche dubbio; smaltatissimo ritratto cerimoniale: osservate il dettaglio dei ricami della manica di raso dorato, la meticolosità con cui sono disegnate le singole conchiglie della collana, la finezza del bordo bianco pieghettato della camicia che orna il collo di Charles.

Protagonista assoluta di questa sezione è la cosiddetta Madonna del cuscino verde del Louvre, uno dei vertici della produzione di Solario. I contorni si sono ammorbiditi e le fisionomie non hanno più alcuna rigidità. Il Bambino energico e cicciottello ha una vivacità che richiama Leonardo, ma senza fastidiosi ricalchi: Leonardo c’è ma solo come eco lontana, interiorizzato da un artista che qui ha uno dei suoi momenti di massimo. Tutto è bellissimo in questo dipinto, i colori ricchi di sfumature, il velo ora grigio, perla, fino a bianchissimo che si avvolge intorno alla testa e al collo di Maria, i suoi capelli di un biondo ramato dipinti con maestria. E quel paesaggio sul fondo che rimane, si, convenzionale, ma nel quale l’occhio si perde volentieri: prati ordinati, piccole radure di alberi, un placido corso d’acqua.

Andrea Solario - Madonna con il Bambino (Madonna del Cuscino Verde) (1510 ca, Parigi Museo del Louvre)     



Nella stessa sala, proveniente da Vienna Salomè con la testa di San Giovanni Battista nel quale si osserva un artista ancora diverso, incline ad una certa artificiosa maniera. Forse non un capolavoro ma degno di nota per la vivacità dei colori di smalto e la finezza dei dettagli, una resa meticolosa – un po’ stucchevole – del complesso ricamo dell’abito ricco di fiocchi intarsi sbuffi e perle, a contrasto con la deliziosa spontaneità compendiaria del mazzolino di fiori che decora lo scollo, solo tocchi di pennello, ma con una resa magnifica. Prendete il tempo per guardare i particolari, osservate con lentezza – vale per tutte le opere in mostra.

A Milano è dedicata l’ultima sezione, con opere che si scalano negli anni, piuttosto diverse tra loro. Incantevole il Ritratto di donna del Castello Sforzesco dipinto prima della partenza per la Normandia. Qui Solario gioca con un difficile equilibrio tra somiglianza fisiognomica e bellezza ideale; l’abito della ragazza è riprodotto con abilità nella resa tattile della stoffa, si intravedono i fili sottili della rete che le incornicia la fronte eppure tutto, dalla scelta dei colori all’eleganza delle forme è essenziale, sintetico, privo dell’artificio della Salomè.

Andrea Solario - Ritratto di Donna (1500-1505 ca, Milano Pinacoteca del Castello Sforzesco)     


Consigliato soffermarsi a lungo sulle ultime due opere. Il Riposo durante la fuga in Egitto nel quale la Madonna e San Giuseppe sono assai diversi: profilo convenzionale per Lei, mentre il volto di Giuseppe sembra quasi un ritratto, espressione intensa, sorriso appena accennato, il dettaglio assai inusuale dei riccioli grigi sulle spalle … bellissimo. E poi il paesaggio sullo sfondo, la piccola natura morta con la borraccia e i datteri: davvero non si capisce come un pittore di questa qualità possa essere stato quasi dimenticato.

Andrea Solario - Riposo durante la Fuga in Egitto (1515, Milano Museo Poldi Pezzoli)     



La mostra si chiude con il Ritratto di Gerolamo Morone: di nuovo un incontro ravvicinato con Leonardo, torna il ritratto su fondo scuro, ombre che sfumano i contorni del viso e le mani, quasi tridimensionali che – lo notò Giuseppe Bossi per primo come ricorda Antonio Mazzotta - evocano il Cristo del Cenacolo nell’atto di compiere due gesti diversi e complementari. Si chiude il cerchio aperto dal ritratto di Brera? Non proprio: il tappeto anatolico perfettamente definito, quel foglio bianco squadrato dalle pieghe, la pelliccia sontuosamente definita ci rammentano quanto strada ha fatto la pittura di Solario, sintetizzando in una cifra personale ispirazioni molto diverse.


La mostra è a Milano al Museo Poldi Pezzoli fino al 30 giugno 2025.

Il sito ufficiale del museo.

giovedì 6 marzo 2025

John Singer Sargent - Gondolas off San Giorgio - Collezione Privata

Venezia. Senza dubbio una delle città più suggestive al mondo, Venezia incanta sempre, in qualsiasi stagione, con la nebbia, la pioggia sottile, il cielo grigio o l’azzurro intenso dell’estate che fa luccicare l’acqua dei canali. Esistono tante Venezia: quella luminosa e lenticolare di Canaletto, la Venezia notturna e decadente di Ippolito Caffi, il sogno evanescente dipinto da Turner, una città liquida, immateriale in cui acqua e cielo si fondono. E naturalmente la Venezia di John Singer Sargent (Firenze, 1856 – Londra 1925) che vi soggiornò molte volte tra il 1870 e il 1913 e a Venezia dedicò decine di oli e di acquerelli, scegliendo spesso inquadrature insolite, visioni ravvicinate delle facciate dei palazzi, calli e canali secondari lontani dalle immagini tradizionali della città. Due parole sulla vita di questo artista cosmopolita, nato a Firenze da genitori americani: venuti in Italia per una sorta di Gran Tour rimasero per sempre in Europa, spostandosi da un paese all’altro, da una casa all’altra senza mai possederne una. A 15 anni il giovane Sargent aveva già visto tanta Europa, parlava correntemente molte lingue e disegnava tutto ciò che attirava la sua attenzione. Era francese di formazione – allievo a Parigi di Carolus-Duran (Charles Émile Durand) - fu amico di Manet e di Monet e inglese per cultura; nel 1886 si stabilì a Londra, ma continuò sempre a viaggiare accompagnato dalla famiglia e dalla scatola dei colori, inserito fin da giovane in un ambiente internazionale colto e vitale. Tra i maggiori ritrattisti del suo tempo – chi non conosce il suo Dottor Pozzi avvolto da una lussuosa veste color rubino, dalla quale spunta una raffinata pantofola turca che sembra di velluto bianco e seta rossa, bello come un attore ma forse un po’ privo di anima. Quando non dipingeva su commissione si dedicava alla pittura en plein air, ai paesaggi nei quali poteva essere libero di dipingere solo ciò che attirava il suo sguardo, come quando era ragazzo. 
John Singer Sargent, Gondolas off San Giorgio, 1902-1903 circa, Collezione Privata



Questo incantevole acquerello è un saggio – a mio parere – del migliore Sargent. In primo piano si aprono a ventaglio le sagome scure delle gondole, sugli scafi minuscoli punti privi di colore lasciano intravedere il bianco della carta, la sensazione del legno che brilla di luce. Alle gondole si alternano i sottili pali di attracco tracciati con segni di colore liquido. Ne abbiamo uno proprio davanti agli occhi più spesso e sfumato degli altri che riecheggia il campanile di San Giorgio Maggiore sullo sfondo, altrettanto verticale, altrettanto sfuggente. E’ per effetto di questa coppia di ‘tracce verticali’ che ci rendiamo conto dell’ampiezza del Canal Grande, della distanza che ci separa dalla chiesa, avvolta da una luce rosata, circondata alla base da minuscole scintille che brillano sull’acqua. Un esile gondoliere sembra volgersi incantato verso la sagoma luminosa della chiesa, un’altra persona – una ragazza? un gondoliere a riposo? Oppure è solo un’ombra? – sembra seduta in una delle gondole in primo piano. Non c’è una storia, non c’è niente da raccontare. Solo un attimo di un pomeriggio veneziano colto in tutta la sua bellezza, reso magico dalla luce e dai riflessi sull’acqua, dipinta con rapidi tocchi di colore grigio, petrolio, malva, accenni di rosa che riproducono in modo magistrale la mobilità liquida della laguna. Di certo l’acquerello è la tecnica più adatta per dare l’illusione dell’istante, per rappresentare le condizioni mutevoli della luce, l’aspetto effimero dei riflessi sull’acqua. Di certo Sargent è tra i più sapienti nell’uso dell’acquerello e queste ‘istantanee veneziane’ sono spesso piccoli gioielli da ammirare, scoprendo un lampo di luce che non si era visto prima, apprezzando l’inquadratura inedita, quel guizzo di colore che sembra far muovere l’acqua.

venerdì 24 gennaio 2025

Vincent van Gogh - Case di Anversa viste dal retro - Van Gogh Museum, Amsterdam (Vincent van Gogh Foundation)

Può sembrare un’eresia oggi dire che Vincent van Gogh (Zundert 1853 - Auvers-sur-Oise 1890) non aveva un talento innato per la pittura. Non era nato pittore insomma, come Raffaello Velasquez o Parmigianino. Van Gogh no, per lui essere pittore è una conquista ottenuta con fatica, una lotta continua alla ricerca di un suo stile, di un modo che gli permetta non tanto di ‘dipingere’ ma di esprimersi. Una tecnica che è solo sua, inimitabile che gli consente di lasciare sulla tela quello che sente degli uomini, dei campi di grano, dei girasoli e dei rami di pesco in fiore, di papaveri e farfalle. La vita di Van Gogh è tutta nella sua pittura. Forse per questo ogni suo dipinto è indimenticabile, perché nessuno come lui ha saputo parlare e trasmettere emozioni con i suoi quadri nei quali ha messo tutto se stesso.
Vincent van Gogh, Case di Anversa viste dal retro, 1885, Amsterdam - Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation)


Quest’opera fu dipinta nel 1885, nei pochi mesi in cui van Gogh si trattenne ad Anversa. Prima dell’incontro con Parigi, prima di apprendere dalle stampe giapponesi che aveva iniziato a collezionare la tecnica del colore piatto. Prima di restare abbagliato dalla luce del Mediterraneo e dalla straordinaria forza dei colori puri, esaltati dall’accostamento delle tinte complementari. In una lettera ad Horace Mann Livens (la 459a) scritta da Parigi nell’autunno del 1886 – pochi mesi dopo aver lasciato Anversa - van Gogh scrive “.. ho fatto alcuni studi di colore, dipingendo semplici fiori, papaveri rossi, fiordalisi azzurri, myosotis. Rose bianche e rosa, crisantemi gialli, ricercando il contrasto tra blu e arancio, tra rosso e verde, tra giallo e viola.. cercando di ottenere un colore brillante, non una grigia armonia’.
Un consiglio: leggere le lettere di van Gogh (la maggior parte delle quali indirizzate al fratello Theo). Sono tutte disponibili qui, tradotte in inglese, perfettamente catalogate. Ci sono brani bellissimi, quelli in cui racconta a Theo dei suoi progressi, dei quadri che vede nei musei e nelle mostre e di quelli che sta dipingendo: ne descrive i particolari, i colori, perché ha voluto dipingerli così, a volte ne fa rapidi schizzi. 
In questo dipinto non ci sono ancora i colori, le tinte sono terrose: ocra, mattone, grigio e varie declinazione di marrone. Le case di Anversa viste da quella che possiamo immaginare una piccola finestra affacciata sui tetti, dalla quale Van Gogh osservava il mondo e lo ritraeva. Il colore steso a pennellate irregolari rende meno evidente la struttura di linee verticali e diagonali che definiscono la veduta: i margini che segnano il confine delle case - che si sostengono l’una con l’altra - sono marcati da sottili tratti neri, i tetti sono definiti da lievi diagonali, piccole finestre disposte in modo irregolare movimentano le mura grigiastre. La veduta si apre su una terrazza sui tetti coperta di neve e va stringendosi a imbuto verso il fondo, le case si avvicinano sempre di più, quasi si inclinano in avanti e chiudono completamente la vista dell’orizzonte. Il cielo incombe grigio sui tetti, non è uno dei bellissimi cieli azzurri o stellati che Van Gogh dipingerà ad Arles, ma ci dice già molto della abilità che Van Gogh aveva conquistato: le pennellate sono materiche, irregolari, sprazzi di bianco, giallo, qualche tocco color piombo, perfette per creare l’atmosfera di un pomeriggio invernale freddo, freddissimo forse. La neve è caduta già da qualche ora e non è più bianca e soffice, ma grigiastra e ghiacciata.
Nessuna delle lettere che Van Gogh invia a Theo da Anversa accenna a questo dipinto, ma qua e là si può trovare qualche parola sulle sue impressioni della città: ‘ha un cielo grigio argento’ e altrove ‘..strade molto strette tra case incredibilmente alte’ e ancora ‘ha nevicato, questa mattina la città era splendida nella neve’. Tutte queste impressioni si intrecciano in questo paesaggio di case. Non c’è nessuno, ma su due delle piccole finestre van Gogh schizza una pennellata rapidissima di giallo, che a me piace interpretare come un segno di vita, una lampada a olio accesa che fa filtrare la sua luce attraverso i vetri opachi.