C’è sempre almeno un motivo per
visitare le mostre di Palazzo Reale, di solito allestite in modo impeccabile. E
anche questa esposizione non fa eccezione. In una delle ultime sale è esposto
il gigantesco Napoleone di Ingres ('Napoleone sul trono imperiale'), definito dai
curatori ‘icona glaciale, ieratica, simbolica’. Entrare nella sala, avvolta
dalla penombra, con le pareti rivestite di un rosso che si avvicina moltissimo
al porpora dell’immenso velluto che avvolge Napoleone, e trovarsi a tu per tu
con … l’imperatore è una vera emozione. Qualunque cosa pensiate di Ingres, di
questo genere di pittura e di Napoleone stesso, non si può non restare colpiti
da questa immensa tela e dal suo fascino magnetico, vi sarà impossibile,
passarle semplicemente davanti. E così lo sguardo si sofferma sul velluto rosso
e brillante, sui riflessi delle sfere d’avorio del trono, sull’oro delle
decorazioni, sul viso bianchissimo quasi eburneo di Napoleone, dipinto come un
Giove, forse, o come un’icona bizantina – è stato detto: lo sguardo immobile,
fissa lontano e fa sentire a chi guarda tutta la sacralità che l’immagine
doveva ispirare. Non ebbe nell’immediato il successo che Ingres si aspettava. Fu
aspramente criticato perché non somigliava davvero a Napoleone, era troppo
immobile e privo di qualsiasi traccia di vita.
Jean-Auguste-Dominique Ingres - Napoleone sul trono imperiale (1806) |
Non sono riuscita ad afferrare il
filo logico di questa mostra – per altro molto godibile – che intreccia storie
diverse, incentrate sull’arte degli
anni tra la fine del Settecento e i primi venti del 1800, di cui offre un’ampia
rassegna con dipinti, disegni, miniature, statue. L’esposizione inizia dove
anche Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban 1780, Parigi 1867) aveva
iniziato la sua formazione: nell’atelier parigino di Jacques-Louis David, con
l’esposizione di alcuni nudi maschili, prova obbligatoria per gli studenti
dell’Accademia. Il più emozionante però è quello del maestro, di David, appunto
- pittore geniale che alla fine del Settecento aveva imposto un passo nuovo
alla pittura - il cosiddetto Patroclo: di spalle, seduto su un drappo
sontuosamente rosso, il disegno anatomico – perfetto – è reso meno accademico
da un colore morbido e sfumato.
Il racconto della mostra prosegue sottolineando il successo delle donne
pittrici, celeberrima Elisabeth Vigée Le Brun e i suoi ritratti della regina
Maria Antonietta, ma qui mi piace sottolineare la presenza di Marie-Guillemine
Benoist, delizioso il suo autoritratto con i capelli lunghissimi trattenuti da
un nastro e una sorta di peplo greco che le scopre una spalla. Dolcissima e
determinata al tempo stesso: l’energia con cui stringe i pennelli la dice lunga
sulla personalità di questa artista, che aprì per un breve periodo un atelier
al quale potevano iscriversi solo allieve donne.
Marie-Guillemine Benoist - Autoritratto (1790) |
Poi si entra nel vivo dell’esposizione: Napoleone e la sua famiglia,
fratelli, sorelle e cognati che furono sparpagliati da Bonaparte su tutti i
troni disponibili. Le campagne d’Italia e i rapporti con Milano, in particolare,
dove Napoleone fu incoronato Re d’Italia nel 1805. Arte e politica si
intrecciano per raccontare le vicende di Bonaparte con ritratti, immagini di
propaganda delle sue campagne militari, la riproduzione (opera di Francesco
Rosaspina) del fregio che ornava la sala delle Cariatidi (proprio nel Palazzo
Reale) dipinto da Andrea Appiani con le immagini dei fasti di Napoleone, 39
dipinti monocromatici a tempera che imitavano i bassorilievi antichi. Il fregio
fu distrutto nel 1943 dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Tre
gigantesche teste di marmo di Napoleone, tra queste quella scolpita da Canova,
Napoleone come un imperatore romano, immagine purissima del potere.
Una piccola sezione della mostra è per Giovanni Battista Sommariva, uno
dei protagonisti della Milano napoleonica, collezionista e mecenate, qui sono
esposte tra l’altro alcune deliziose miniature che riproducono opere celebri
dell’epoca.
L’ultima parte del percorso espositivo è interamente dedicata ad Ingres.
Rimarrà un po’ deluso chi cerca i ritratti delle dame francesi e i loro
preziosi abiti alla moda, restituiti da Ingres in tutta la loro frusciante
bellezza oppure le celebri odalische con i turbanti intrecciati di stoffe sontuose, immerse in un’atmosfera di fiaba orientale. In mostra c’è solo la versione in
chiaroscuro (una sorta di monocromo) de ‘La grande odalisca’, alcuni ritratti
maschili, una delle versioni di ‘Raffaello e la Fornarina’ (Ingres aveva una
vera venerazione per Raffaello di cui sognava di poter essere l’erede e dalle
cui opere aveva derivato il culto per la bellezza femminile), il dipinto con Francesco
I che accoglie tra le braccia Leonardo da Vinci morente, in omaggio al
cinquecentenario di Leonardo. Pitture di storia queste ultime, del genere “troubadour”
, che rappresentavano con poca verità e molta fantasia personaggi ed
accadimenti del Medioevo e del Rinascimento.
Jean-Auguste-Dominique Ingres - Grande Odalisca, versione in chiaroscuro (1830 ca.) |
E poi ci sono i disegni, nei quali l’abilità di Ingres si dispiega
libera, lontana dalle costrizioni del quadro ufficiale, sono freschi, vivaci e
da ammirare uno per uno: gli schizzi del Duomo di Milano, della chiesa di San
Maurizio, alcuni deliziosi visi di donna.
I ritratti, quasi tutti maschili, hanno occhi penetranti fissi in quelli
dello spettatore oppure sguardi malinconici persi altrove, vitalità, linee
morbide e sfondi bruni che si accendono grazie al bianco brillante di un
colletto, al grigio perla del nastro di una cravatta. E’ come se questo artista
avesse due anime o meglio se dipingesse solo con il cuore i ritratti e solo con
la ragione, molta tecnica e poco sentimento il resto della sua produzione.
Molto diversi dai ritratti sono infatti i quadri di storia o a tema religioso: mostrano
panneggi ‘all’antica’ scolpiti in modo tagliente, gesti enfatici e poco naturali,
colori smaltati studiati sul contrapporsi delle tinte complementari (in mostra 'La consegna delle chiavi a San Pietro'). Un’eccezione
è la figura leggera e aggraziata di Stratonice in ‘Antioco e Stratonice’,
avvolta in un abito rosa pallido panneggiato con elegante leggerezza.
Jean-Auguste-Dominique Ingres - Antioco e Stratonice (1840) |
Se uno degli obiettivi della mostra era evidenziare il ruolo di Ingres
come figura chiave di questa epoca di contraddizioni, c’è riuscita
perfettamente. Si evitano i termini ‘neoclassicismo’ e ‘romanticismo’ perché le
etichette rigide non sono più ritenute utili a spiegare le caratteristiche del
gusto e di un’epoca, ma certo la pittura di Ingres ha una sua dualità che è
chiarissima raffrontando due tele giganti in mostra: il Napoleone di cui ho già
detto e l’atmosfera onirica de ‘Il sogno di Ossian’, che doveva decorare la
camera da letto di Napoleone nel palazzo del Quirinale a Roma. Smaltato e
perfettamente nitido Napoleone, immerso in un sogno soffuso Ossian, il colore è
solo nel mondo dei vivi dove Ossian giace appoggiato alla sua lira, il mondo
dei defunti, popolato di fantasmi è avvolto in una fredda tonalità grigia.
Ingres muore nel 1867 quando Claude Monet ha 27 anni, Eduard Manet ha
già l’Olympia – per certi aspetti versione rivoluzionaria delle odalische di
Ingres - , sta per nascere l’impressionismo che avrebbe negato ed abolito il
disegno che Ingres amava così tanto. Sarà un altro grandissimo disegnatore,
Pablo Picasso, a riscoprire la modernità di Ingres.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per ogni commento che vorrete lasciare.