Erano sette, giovanissimi, era il
1848, l’anno dei moti rivoluzionari in tutta Europa, fondarono la Confraternita
dei Preraffaelliti, che all’inizio aveva le caratteristiche di una società
segreta (romantico!) e l’intento subito dichiarato, sin dal nome, di liberare
l’arte dal rigido accademismo in cui – secondo loro - la pittura era caduta dopo Raffaello.
Proponevano anche loro una rivoluzione, tentare di cambiare la vita,
cominciando a cambiare l’arte. Siamo a Londra in epoca vittoriana quando una
rigida morale (spesso puramente di facciata) tentava di imbrigliare ogni
aspetto della vita, esattamente come le regole dell’accademia dettavano i
criteri della ‘vera arte’. E i Preraffaelliti si ribellavano, intendevano rigenerare
l’arte per arrivare a rifondare le regole con le quali condurre la vita, la
loro arte doveva inaugurare un modo nuovo di guardare alla vita.
L’arte libera e spontanea era
finita con Raffaello e l’algida bellezza delle sue Madonne. Per ritrovare la verità
della pittura si doveva tornare ai primitivi (i pittori del Trecento italiano)
e al primo Quattrocento, senza dimenticare un contatto diretto con la natura,
che porta i Preraffaelliti a dipingere en plein air, anche se con esiti molto
diversi dall’impressionismo (di poco posteriore).
Dante Gabriel Rossetti - Il sogno di Dante alla morte di Beatrice (1856) |
Il loro approccio alla natura
non è puramente ottico come sarà quello degli impressionisti affascinati dalla
luce. I Preraffaelliti erano attratti dalle forme di ogni singolo fiore, dai
dettagli più minuziosi riprodotti con un’attenzione che riproponeva in chiave
moderna quella che era stata la passione tutta gotica per i particolari. Sia
detto per inciso: per quanto i Preraffaelliti ai loro inizi trovassero
ispirazione nell’arte medioevale, proprio nessuna delle loro opere può essere
scambiata per un’opera davvero medioevale – nemmeno quando imitano in maniera
accuratissima le miniature trecentesche come nel Roman de la Rose di
D.G. Rossetti: l’atmosfera che si respira in ogni dipinto è modernissima.
La mostra presenta una raffinata
selezione di opere che raccontano l’avventura di questi giovani e della loro
arte. I tre principali esponenti della Confraternita erano Dante Gabriel
Rossetti (1828-1882), John Everett Millais (1829-1896) e William Holman Hunt (1827-1910):
la confraternita si sciolse dopo soli cinque anni nel 1853, tutti però
continuarono a dipingere e giunsero ad esiti piuttosto diversi dalle premesse
dalle quali erano partiti. All’inizio il pubblico e i critici si mostrarono
assai contrari al loro modo di dipingere - si scandalizzavano della libera
sensualità delle donne che essi rappresentavano, avvolte in chiome lunghissime
e sciolte, dell’ambientazione troppo dimessa e quasi laica delle opere
religiose – ebbero però il sostegno incondizionato di John Ruskin e divennero negli
anni ottanta dell’Ottocento delle celebrità. L’esposizione è suddivisa per temi e in tal modo dà conto della molteplicità di interessi di questi artisti, che erano appassionati di poesia (leggevano Chaucer, Dante, Shakespeare, ma anche i poeti romantici e autori moderni come Robert Browning ed erano in alcuni casi poeti e scrittori loro stessi), di leggende medioevali, prendevano ispirazione dalle storie della Bibbia e da temi della loro contemporaneità.
E’ indubbio il fascino di questa
pittura tecnicamente molto raffinata, dai colori brillanti e smaltati, quasi da
vetrata medioevale. Molti di loro avevano frequentato scuole d’arte ed erano
abilissimi disegnatori. Forse ai nostri occhi alcune immagini possono sembrare
un po’ ingenue e stereotipate, ma in ogni dipinto esposto vale la pena di
osservare l’armonia dei colori, il fascino di alcuni particolari: i paesaggi
immaginari di cittadine turrite che si intravedono da alcune finestre, i fiori
che si fanno strada tra le pietre di un muro, la morbidezza con cui ricadono i
capelli delle dame, la straordinaria leggerezza della sciarpa violetta di Amore
d’Aprile di Arthur Hughes, alcune minuziose nature morte di tavole
apparecchiate (come ne La proposta di Frederic Georges Stephens), il
racconto di come questi artisti immaginavano il medioevo e l’arte che produsse
e che ‘i confratelli’ conoscevano
soprattutto grazie alle incisioni che Carlo Lasinio aveva tratto da dipinti
attribuiti a Giotto, a Benozzo Gozzoli e ad altri grandi maestri italiani per
il volume Pitture a fresco del camposanto di Pisa (1832), di cui Millais
possedeva una copia (in mostra è esposta una versione del volume).
E poi ci sono le icone che fanno
ormai parte dell' immaginario collettivo: i Preraffaelliti sono Ophelia
di Millais e gli straordinari ritratti di donne di Rossetti, forse il più
dotato tra questi artisti.
John Everett Millais - Ophelia (1851-1852) |
Nell’Ophelia (eroina shakespeariana) di
Millais sembra di veder scorrere l’acqua che trascina via lentamente questa
donna bellissima; la modella era Elisabeth Siddal, futura moglie di Rossetti ed
è ormai nella mitologia il racconto di come Elisabeth posò per Millais in abito
da sposa, immersa in una vasca piena d’acqua fredda riscaldata solo da candele,
ammalandosi gravemente. Tutto in questo dipinto è un capolavoro, la sensazione
dell’acqua gelida, il verde smaltato dell’erba, i colori brillanti dei fiori
carnosi e vivi – ognuno ha un particolare significato allegorico - che
contrastano con il pallore mortale di Ophelia, avvolta in un abito che è quasi
una nuvola e la fa apparire senza peso, in balia della corrente.
Dante Gabriel Rossetti - Monna Vanna (1866) |
E poi le bellezze opulente e
quasi decadenti di Rossetti, una galleria di ritratti femminili di grandissimo
fascino, dipinti a partire dagli anni Sessanta. Monna Vanna immagine
icona della mostra, Monna Pomona, Aurelia …. Opere in cui
l’insieme affascina quanto i singoli dettagli. La collana di corallo di Monna
Vanna sembra crepitare e scrocchiare così attorcigliata intorno alle sue
mani affusolate, il cesto di rose dietro di lei, il blu sontuoso dell’abito di Monna
Pomona e il mazzolino di rose appoggiato sulle pieghe cobalto della
sottana, il suo corsetto di trina, i riccioli ramati di Aurelia e il
delizioso orecchino che le pende da un lobo. Quanta strada ha fatto la pittura
di Rossetti rispetto agli inizi. Qui le pennellate sono libere, corpose, si
sono sostituite al disegno per dare struttura ai corpi, il colore non è più lo
smalto della vetrata medioevale, ma quello ricco e sfumato, quasi atmosferico
della pittura del Cinquecento veneto. Perché è indubbia l’ispirazione
tizianesca di questi busti di donne. Rossetti è partito negando Raffaello e
quanto ne seguiva e si ritrova a dipingere versioni modernissime delle dame del
Cinquecento veneziano.
Dante Gabriel Rossetti - Monna Pomona (1864) |
Da ultimo un ‘da non perdere’: la
Veduta di Firenze da Bellosguardo di John Brett. La precisione
lenticolare dell’immagine non toglie niente alla atmosfera incantata della
Firenze di metà Ottocento, attraversata da un Arno davvero d’argento e avvolta
da una luce settembrina che fa capire perché gli inglesi dell’epoca fossero così
innamorati di questa straordinaria città.
John Brett - Veduta di Firenze da Bellosguardo (1863) |
E infine: non so se sia una
coincidenza o il frutto di un piano preciso e molto intelligente ma quest’anno
Milano ha offerto agli appassionati tre mostre complementari, diverse ma
strettamente connesse l’una all'altra, la possibilità di esplorare quanto sia
stato ricco e complesso l’Ottocento della pittura europea: la mostra
Romanticismo alle Gallerie d’Italia, Ingres e il suo tempo a Palazzo Reale e
sempre a Palazzo Reale i Preraffaelliti.
La mostra è a Palazzo Reale Milano fino al 6 Ottobre 2019.
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